L’unica virtù dell’Università-azienda? Il denaro
di adminwp
Unire la facoltà di Traduttori e Interpreti con Giurisprudenza; quella di Lettere e Filosofia con Scienze della Formazione: questa l’intenzione dei dipartimenti in questione, annunciata dal Rettore dell’Università di Trieste Francesco Peroni nell’ultima assemblea delle facoltà umanistiche. Impossibile dire già ora come andrà a finire, anche se non è difficile – forti di un mimino di spirito d’osservazione sul recente passato – tracciare le linee generali le quali, verosimilmente, segneranno il futuro di queste facoltà.
Percorriamo insieme, per rendere più chiari i cambiamenti in atto, la strada di Mario, immatricolato in Lettere, curriculum moderno, nel 2008. Con l’ordinamento ex legge 509, Mario ha all’interno del suo piano di studî molti esami obbligatorî (ovvero quelli che caratterizzano uno studente di Lettere moderne, come ad esempio i corsi di letteratura, linguistica e filologia) e altrettanti, non prettamente proprî del suo corso di laurea, la cui scelta è a sua discrezione: lo studente ha così potuto seguire un corso fra storia medioevale, moderna e contemporanea; uno fra storia del teatro, giornalismo ed editoria e storia della musica; uno fra filosofia estetica, morale, teoretica e del linguaggio; e così via. Lo studente ha scelto i corsi che più lo interessavano, o quelli il cui professore teneva lezioni migliori, o semplicemente quelli che meglio si collocavano all’interno del grande “discorso” che lo accompagnerà fino alla laurea (nella prospettiva, magari, di acquisire delle precise conoscenze per un determinato lavoro futuro).
Il fratello di Mario, Luigi, si immatricola un anno più tardi (nel 2009), con il “nuovo” ordinamento ex legge 270. Luigi ha un numero di esami da sostenere, nonché un numero di ore di lezione (a parità di crediti formativi), di gran lunga inferiore: mentre Mario – immatricolato soltanto un anno prima – maturava 6 crediti con un corso di 40 ore, Luigi, per quello stesso corso da 6 crediti, di ore deve farne solo 30. Si riduce così lo scambio fra docente e allievo, l’aspetto che rende la materia più viva e, in una dinamica dialettica, maggiormente proficuo l’apprendimento. Inoltre il suo corso di laurea, chiamato ora “Scienze dei Beni Culturali e delle Letterature antiche e moderne”, vede molta meno possibilità di scelta – laddove questa possibilità di scelta rimanga – tra i singoli corsi.
Arriviamo così all’ipotizzata unione fra la facoltà di “Lettere e Filosofia” e quella di “Scienze della formazione”. Analizziamo la situazione che potrebbe presentarsi nel caso si procedesse in questa direzione: fra i corsi obbligatorî, ne figureranno alcuni che prima dell’unione non erano insegnati nella propria facoltà. Poco male? Non proprio. Prendiamo Nicola, studente immatricolato in seguito a questa unione nel corso di laurea di Lettere moderne: nel giro di qualche anno, a causa dei numerosi pensionamenti – a cui sarà molto difficile far fronte con nuove assunzioni in seguito al blocco del turn over – rimarranno soltanto due professori in grado di tenere corsi in quest’ambito. Il piano di studî di Nicola verrà così ad assomigliare sempre più non solo a quello dei suoi compagni di corso (la scelta all’interno dello stesso corso di laurea è ormai inesistente) ma anche a quello dello studente di Storia e Filosofia, di Scienze dell’Antichità, di Scienze dell’Educazione: meno caratterizzazione formativa, per una laurea che sembra sempre più una replica – di qualità però ben peggiore – del diploma liceale.
Il problema è poco sentito, forse anche perché si percepisce il mondo della Cultura ancora relegato ad una élite sussiegosa che ama discutere del sesso degli angeli. Ma gli studenti che usciranno da questa Università costituiranno gli insegnanti e i professori di tutta la popolazione futura. La Commissione UE ha da poco fatto sapere che in Italia un quindicenne su cinque è semianalfabeta, ovvero non possiede le «capacità fondamentali di lettura e di scrittura». Dato destinato a crescere, in un Paese dove l’insegnamento spesso carente (per qualità e quantità di ore) viene accompagnato dall’uso massiccio della televisione la quale, oltre a semplificare qualsiasi concetto per renderlo “vendibile” – i principî portanti della pubblicità sono «semplicità e ripetitività» – atrofizza la capacità di pensare in modo astratto (si legga, a tal proposito, “Homo videns” di Giovanni Sartori).
Queste unioni e semplificazioni hanno un quid in comune: la recente “riforma” dell’Università e i tagli al Fondo di Finanziamento Ordinario (del 9% per il 2010, del 17% per il 2011) previsti dalla Finanziaria. Affinché si possano bandire concorsi per docenti, ricercatori e personale tecnico amministrativo, è necessario – stabilisce la “riforma” – rimanere al di sotto del 90% del rapporto tra spese per il personale e quell’FFO pesantemente tagliato. Al momento l’ateneo triestino ha superato quel 90% di ben 0,8 punti percentuale, cessando così di essere un’Università “virtuosa”. È necessario ritrovare quella virtù perduta: la virtù della semplicità, in opposizione ad ogni profondità di pensiero; la virtù dell’omologazione, in opposizione a ogni caratterizzazione.
Tutti ignoranti, tutti uguali, ma – ben inteso – virtuosi.
© 10 Aprile 2011