Il sabato (pre-elettorale) del villaggio e cosa si aspettano davvero i cittadini
Commento di Norberto Fragiacomo
Ci sono parecchie similitudini tra la vigilia delle elezioni e il “sabato del villaggio” leopardiano, ed una differenza di non scarso rilievo: per chi perde il confronto, e spesso anche per chi pensa di averlo vinto, la domenica di “tristezza e noia” durerà un lustro.
Sommati assieme, i programmi redatti negli ultimi vent’anni dalle coalizioni poi vittoriose avrebbero dovuto fare di Trieste la Città del Sole. Ma così non è stato, perché le cose sono andate invece di male in peggio, ad onta di qualche effimera consolazione statistica a proposito della qualità della vita. La nostra è, oggi, una citta postindustriale (nel senso che le industrie sono scomparse da un pezzo…), postcommerciale e postportuale, in cui la parola “servizi” è diventata sinonimo di prestazioni fornite ? a carissimo prezzo ? alla popolazione anziana, mentre alla mulerìa, da molti guardata con occhio malevolo, nessuno è in grado di garantire un futuro decente.
Dopo le brevissime estati dei cin cin elettorali, quasi tutte le entusiasmanti promesse si sono seccate come foglie in autunno, e questo non sempre, o non solo, per la cattiva volontà dei politici. Amministrare una città in tempi di poche risorse è impresa impegnativa, ed anche la prossima giunta, schiacciata tra la pesante incudine del patto di stabilità ed il martello di un federalismo sbagliato già nel nome, dovrà cercare di approntare il banchetto amministrativo con i fichi secchi di bilanci risicati.
Per accontentare gli ospiti ? vale a dire noi triestini ? non basterà fotografare i problemi esistenti: bisognerà individuare un principio ispiratore su cui modellare le strategie. Non è un segreto per nessuno che Trieste soffre, oggi, di gravi patologie sociali, ed una è il costante invecchiamento proporzionale della popolazione, per far fronte al quale mancano strutture pubbliche in numero adeguato. La retorica sulla sussidiarietà tra interventi pubblici e privati non può nascondere il fatto che i privati ? è la loro natura ? tendono a lucrare su situazioni sovente drammatiche: per pagare le rette di rado è sufficiente una pensione dignitosa.
Un’altra patologia è la rarefazione delle possibilità d’impiego: all’emorragia di stabilimenti dei passati decenni si è aggiunto quello che, con demagogica faciloneria, qualcuno ha definito il “bubbone Ferriera”; più di recente, le scelte dolorose (ma solo per i dipendenti) della multinazionale Wartsila ci hanno rammentato che, per l’impresa, le “risorse umane” sono, come i macchinari, strumenti produttivi da dismettere quando conviene.
Al tema lavoro si lega anche la vicenda Acegas APS, ?he però coinvolge direttamente l’intera cittadinanza. Da tempo i sindacati denunciano poca trasparenza nei meccanismi di assunzione del personale, una politica di compravendite immobiliari niente affatto coerente e, soprattutto, il decollo dell’indebitamento, ?he potrebbe danneggiare l’utenza ed i piccoli azionisti oltre a diminuire i posti di lavoro.
Questioni spinose, questioni da risolvere, al pari di altre ?he non citiamo qui per questioni di spazio. Come fare? Spetta ad altri suggerire le medicine adatte, ma su un punto insistiamo: l’approccio ai problemi e deve essere unitario, cioè complessivo.
C’è una norma del Testo unico sugli enti locali, troppo spesso dimenticata, ?he individua il compito primario del Comune nella promozione dello sviluppo economico e sociale della comunità, e nella cura dei suoi interessi. Ciò significa ?he, in caso di conflitto tra interessi, quello della cittadinanza viene deve venire sempre per primo e perciò, scendendo nel concreto, ?he pure la richiesta degli anziani di un’adeguata assistenza deve prevalere sulla pretesa degli imprenditori al profitto; ?he il mantenimento dei posti di lavoro, indispensabile al benessere di qualsiasi comunità, è più importante degli “obiettivi aziendali”; che, nel campo dei servizi pubblici come quelli di Acegas Aps, l’esigenza di garantire alle persone una buona prestazione a costi contenuti impone anche sistemi trasparenti di selezione del personale (i vecchi concorsi, per intenderci) e gestioni oculate, con più investimenti sulle reti e dotazioni strumentali, e meno per “sedi prestigiose” da rivendere dopo due anni (palazzo Modello).
In questa situazione, e al di là degli ostacoli di cui è disseminato il cammino dell’amministratore, il ruolo della politica potrà essere benefico solo se saprà prestare orecchio, anzichè ai sussurri delle lobby, alla voce comprensibilmente affannata dei triestini qualunque. Cioè del popolo, che in democrazie è sovrano.
Quello che ci attendiamo dunque da chi vincerà queste elezioni é almeno un “disinteressato interesse” per i bisogni dei cittadini. Potrebbe sembrare poca cosa, ed invece è tantissimo.
© 8 Aprile 2011