La Voce di Trieste

Il debito italiano coi libici: Ustica

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Etica e storia controversa

Gli antichi hanno posto da millenni al vertice dei delitti morali quella che i greci chiamavano ????? – hýbris: la superbia delle persone che dimenticando di essere frammenti infinitesimi di un ignoto universale, simbolizzato dal divino, pensano di poterne ignorare e violare impunemente le leggi di armonìa consolidate nell’etica.

Delitto perciò punito dalle conseguenze autodistruttive della violazione stessa, personificate allora nell’ira degli dei. E gli si contrapponevano le virtù armoniche dell’animo umano, prime tra esse la compassione, la generosità e l’ospitalità. Ma appartiene già al pensiero pensiero antico anche la consapevolezza che negli esseri umani vi sono sia i semi del bene che quelli del male, e che la crescita dell’uno o dell’altro avviene secondo gli impulsi ed i modelli forniti alle persone nell’una o nell’altra direzione.

Questi ed altri insegnamenti tradizionali che stanno a fondamento della vita individuale e sociale ci sono stati trasmessi attraverso innumerevoli generazioni resistendo sinora ad ogni disastro. Ma non all’hýbris moderna dell’illusione d’onnipotenza alimentata dal vortice accelerato degli sviluppi tecnici e scientifici materiali negli ultimi cinquant’anni.

Lo può constatare chiunque osservi in Italia con mente ancora serena la febbre di razzismi ed egoismi, reciproci e verso gli stranieri che sta squassando la società come una corruzione profonda delle anime. Alla quale inoltre né stato, né chiese, né partiti democratici trovano la lucidità ed il coraggio di opporsi, quando non se ne rendono complici per calcolo. Dove sono finiti il buon cuore, la tolleranza e l’umanità della migliore cultura popolare italiana, dal nord al sud?

Eppure la diagnosi è semplice: l’irruzione al potere di una classe politica rozza ed amorale che specula apertamente sui sentimenti deteriori dell’animo umano li ha incrementati e legittimati, al punto che la gente oggi esprime in pubblico forme di odio e disumanità che sino a pochi anni fa si sarebbe vergognata addirittura di concepire.

Ne stanno ora fornendo prova drammatica le reazioni brutali della classe politica italiana all’emergenza umanitaria dell’incremento di sbarchi di profughi politici ed economici dai Paesi arabi del Mediterraneo in rivoluzione per la democrazia. Un’emergenza in realtà limitata, provvisoria e perfettamente gestibile con i mezzi logistici e sanitari sempre sottoutilizzati delle nostre Forze Armate.

Ed invece viene ingigantita ed esasperata abbandonando i naufraghi ad ammassarsi a migliaia sullo scoglio della povera gente di Lampedusa, mentre i politici regionali tentano di far voti strillando allarmi, rifiutando assistenze, propagando razzismi, pretendendo distinzioni tra rifugiati e clandestini ed altre assurdità.

Finiscono dimenticati così, oltre alle dure esperienze di emigranti e profughi della nostra stessa gente, anche i debiti che abbiamo come europei e come italiani verso quelle popolazioni, sia per i massacri e gli sfruttamenti coloniali e post-coloniali, sia per avere appoggiato noi i dittatori dai quali si stanno infine liberando da sole. E proprio su quest’ultimo punto l’Italia ha verso il popolo libico un debito speciale di cui nessuno sembra voler parlare: quello della strage di Ustica.

 

Quello che sapeva l’intelligence militare

Si tratta dell’aereo civile di linea Itavia tra Bologna e Palermo precipitato in mare il 27 giugno 1980, tra le isole di Ustica e di Ponza, causando la morte di tutte le 81 persone a bordo. La verità su questa strage trapelò solo marginalmente perché venne subito coperta con interventi pesantissimi, e rimane tuttora ufficialmente non accertata. Ma era perfettamente nota sin da allora ai livelli superiori dell’intelligence militare euroatlantica.

Secondo le loro versioni nel 1980 il dittatore libico Gheddafi, al potere dal 1969, stava concedendo ai sovietici basi aeree in Libia che potevano sovvertire gli equilibri strategici tra i due blocchi come nel 1962 quelle missilistiche a Cuba, rischiando di portare nuovamente il mondo sull’orlo della guerra nucleare.

A fine giugno Gheddafi doveva recarsi a concludere i relativi accordi sorvolando lo spazio aereo centromediterraneo ed italiano con un piano di volo mascherato, come altre volte, col favore di Roma. Ma un pilota militare libico dissidente (ad agosto ci fu un golpe militare sventato con unità della Germania Est) ne informò i servizi d’intelligence dei comandi euroatlantici, che al giorno ed ora stabiliti fecero alzare in volo sotto silenzio radio dei caccia per abbattere anonimamente l’aereo del dittatore.

Ma Gheddafi ne venne avvisato all’ultimo momento da Roma, che però non provvide anche ad allontanare dalla zona eventuali aerei civili. Così quello libico invertì la rotta quando non era più possibile richiamare i caccia diretti ad intercettarlo, che per assurda fatalità si trovarono sul radar l’aereo, confondibile, dell’Itavia partito da Bologna con due ore di ritardo. L’aereo civile italiano venne così abbattuto per errore al posto di quello di Gheddafi, ed alla notizia il pilota libico dissidente fuggì in Italia con un caccia scarso di carburante, finendo schiantato sui monti della Sila.

 

Roma ha garantito a Gheddafi 30 anni di potere

Tutto questo significa che la spiata di Roma del 1980 ? poi largamente ricompensata con finanziamenti, investimenti e forniture di petrolio e gas ? non solo ha creato irresponsabilmente le condizioni per l’abbattimento dell’aereo italiano al posto di quello del dittatore, ma ha anche consentito a Gheddafi i suoi ultimi trent’anni di tirannìa, dal 1980 ad oggi, sul popolo libico, incluse le uccisioni di questi giorni nei combattimenti e nelle attività di repressione degli insorti.

Un doppio debito italiano attuale e terribile, dunque, verso le vittime della strage e verso la popolazione della Libia, che dovrebbe essere finalmente riconosciuto. E vale ben più dell’ospitalità temporanea di alcune migliaia di profughi politici ed economici.

P.G.P.

© 31 Marzo 2011

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