La Voce di Trieste

Insurrezioni arabe e razzismo “democratico”

di

Analisi

In Italia gli oppositori politici ed economici del soccorso militare europeo richiesto dagli insorti della Libia contro la dittatura stanno aumentando.

E sostengono le tesi più disparate e contraddittorie: dal pacifismo generico all’isolazionismo variamente razzista, alla ripetizione di propagande furbesche del dittatore, a paragoni impropri con le guerre irachena ed afghana.

Ma la tesi di maggior successo, ad iniziare dalla sinistra ideologica, è che la rivolta non sarebbe popolare e spontanea, bensì tribale ed organizzata da interessi capitalisti neocoloniali al controllo del petrolio libico, che manovrerebbero anche i governi interventisti di Francia e Regno Unito.

Il realismo apparente di questo sospetto non regge però all’analisi dei fatti. Perché nella realtà quelli di Libia sono parte di un’insorgenza di tutti i popoli arabi del Mediterraneo, estesa sino alla costa atlantica ed alla penisola arabica (vedi mappa qui sotto) contro regimi dittatoriali e corrotti di tipo postcoloniale, sempre più estranei sia alle necessità del mondo moderno che ai fondamenti della spiritualità islamica.

I coinvolgimenti di interessi stranieri su singoli Paesi non possono essere quindi le cause della rivolta, ma sono tra le sue conseguenze. E lo riconferma il fatto che l’insurrezione ha sorpreso completamente impreparati anche i centri d’analisi esteri degli Stati e delle imprese più attenti ai problemi del mondo arabo (leggi qui le nostre analisi precedenti).

In questo caso la tesi della manovra occidentale occulta esprime perciò, da sinistra come da destra, soltanto il radicamento inconscio dell’antico e luttuoso pre-giudizio razzista occidentale che considera ‘inferiori’ gli arabi e gli altri popoli nativi delle ex colonie europee nel mondo. I quali non potrebbero dunque avere dignità né aspirazioni proprie, ma solo essere strumenti degli interessi di un occidente che si ritiene ‘superiore’ per cultura, tecnologia e potenza.

La superiorità culturale pretesa è sempre stata soltanto frutto di ignoranza delle culture altrui, mentre quella materiale effettiva appartiene ormai al passato, sopravanzata dalla crescita di nuove potenze globali. Vi sono quindi motivi sia etici che pratici per fare un serio esame di coscienza su queste forme di pensiero razzista “democratico” ed utilizzare per una volta a fin di bene le forze politiche e militari che ci assegnano ancora un ruolo decisivo nel Mediterraneo.

Mentre i motivi dell’interventismo deciso franco-inglese, a fronte delle ritrosìe tedesche e del groviglio di ipocrisìe ed ambiguità italiano, non stanno nelle loro multinazionali ma nel semplice fatto che Londra e Parigi hanno ereditato dai loro cessati imperi coloniali maggiore esperienza, cultura, ampiezza, maturità, continuità e fermezza nei rapporti politico-strategici internazionali. E va anche detto che nei risentimenti attuali della politica italiana si coglie spesso uno sgradevole residuo culturale delle propagande antibritanniche ed antifrancesi radicate dal regime fascista.

Non è inoltre uno spettacolo dignitoso il modo in cui la politica italiana drammatizza strumentalmente sino all’isteria la previsione d’afflusso clandestino di qualche decina di migliaia di rifugiati politici ed economici, che un Paese di 60 milioni di abitanti ha i tutti i mezzi per gestire e decantare senza problemi come emergenza umanitaria temporanea, al pari di altre.

Il fatto nemmeno nuovo che USA, Francia e Regno Unito evitino di far partecipare l’attuale governo italiano a riunioni strategico-militari decisive non è quindi uno “schiaffo all’Italia”, ma semplice ed opportuno realismo.

© 29 Marzo 2011

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