La Voce di Trieste

Osservando gli altri dall’acquario-bar

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Donne e uomini nella stazione di Trieste

Sono al bar della stazione. Oggi sono arrivata con grande anticipo e manca addirittura mezz’ora alla partenza del treno. Rispetto ai miei standard abituali direi che l’evento è veramente epocale. Per festeggiare, l’evento intendo decido, senza pensarci troppo su, di mangiare per pranzo qualcosa di caldo, così mi avvio alla cassa per fare lo scontrino. Siccome non ho ancora deciso cosa mettere sotto i denti, butto l’occhio al banco-cibo e vedo sfilare sotto i miei occhi un’infinità di leccornie: panini imbottiti che al solo vederli ti cadono le bave (così improvvisamente capisco perché c’è un vetro protettivo) e della pizza piuttosto invitante. Non riesco proprio a capire però come facciano quei panini ad avere un colore così sgargiante. Quelli che preparo io di solito sono sempre un po’ mosci. Forse è la combinazione delle luci, ma questi mi sembrano proprio panini transgenici. Così opto per un trancio di pizza margherita, che sembra avere un aspetto meno artefatto e per un cappuccino in tazza grande.

Dopo aver ritirato la pizza (e solo quella perché il cappuccino lo prenderò in un secondo momento, altrimenti si raffredda e non c’è di peggio che bere un cappuccino tiepido!) mi siedo a uno dei tavolini del risto-bar e mi sembra di essere in un acquario. Vedo la gente passare oltre le vetrate e la vista che si gode è davvero interessante. Deve essere appena arrivato un treno, perché orde di passeggeri si stanno riversando nell’atrio della stazione. Per lo più giovani e tutti rigorosamente di corsa, tanto che nel giro di qualche minuto l’atrio è completamente vuoto. E davvero curioso guardare tutte queste persone: viene da chiedersi chi siano, cosa andranno a fare una volta arrivate a destinazione, come sarà la loro giornata, se saranno felici o tristi, che avventure vivranno…

Di fronte a me c’è una vecchietta che da quando mi sono seduta io non ha mai  alzato gli occhi dal giornale: dalla forma non sembra essere il quotidiano locale. La signora indossa dei gambaletti tinta carne niente male e il suo capello è, a dirla tutta, un po’ scomposto, ma la signora sembra non badare troppo alle apparenze. Ora è appena arrivata una giovane bionda di circa trenta-trentacinque anni che si è attaccata subito al cellulare. È interessante osservare dove la gente si siede, quando trova un locale quasi del tutto sgombro. La signorina o signora, in questione si è messa proprio nell’angolo più nascosto del locale, mentre io mi sono piazzata al centro, per dominare il panorama. Alle mie spalle una ragazza è intenta a sfogliare un quaderno e la sua aria è decisamente stralunata e  sembra stia aspettando qualcuno: la zia? La nonna? Un amico?

Ma i personaggi che attraggono maggiormente la mia attenzione sono senz’altro il terzetto alla mia destra. Lui, un signore di una certa età, compito e sussiegoso sta dialogando con due donne, che sebbene parlino con un tono di voce piuttosto basso, si avverte che non sono italiane: serbe? Russe? Decisamente carine. Non riesco a cogliere tutta la conversazione ma solo degli stralci. Stanno discutendo di qualcosa d’importante, d’un futuro incontro e stanno prendendo accordi. Forse l’uomo sta cercando una badante? Una compagnia? Delle due donne, una parla in modo spedito, l’altra è più impacciata, segno questo della più lunga permanenza dell’una in Italia rispetto all’altra? Forse.

Ad un certo punto la mia attenzione si sposta, perché davanti all’acquario passa una bionda sculettante niente male: minigonna, stivaloni, giacchino in pelle. Che tipo. E ovviamente tutti i maschi nel raggio di dieci metri si girano ad osservarla: ah, il potere della camminata femminile!

Intravedo anche una mia conoscente, ma chissà perché faccio finta di nulla. Che non le venga in mente d’attaccare bottone. Ok, devo lasciare questo magico posto perché manca poco alla partenza del treno.

Sono già due giorni che il cielo è plumbeo e questo non può non influire sull’umore. In genere con una bella giornata è più facile essere allegri. Oggi invece il colore del cielo sembra quasi voler schiacciare ogni velleità, ogni desiderio. Anche il mare ringhia e muggisce. Non soffia bora forte, ma c’è un vento teso e insidioso che schiaffeggia ed è foriero di pioggia e malumore. Appoggio la testa al finestrino e chiudo gli occhi. Mi piacerebbe essere una farfalla e volare leggera, in alto, oltre le nubi per trovare il sole, che sicuramente è nascosto da qualche parte. Mi piacerebbe essere trasportata in una spiaggia deserta e lì prendere il sole per ore e ore, fino ad arrostirmi. Mi piacerebbe diventare polvere ed essere sparsa al vento e andare ovunque, senza meta né pensieri. Mi piacerebbe essere un’onda del mare e solcare spazi inesplorati. Mi piacerebbe essere vento e accarezzare tutti i volti tristi e sofferenti e portare ad ognuno una lacrima di gioia. Mi piacerebbe, ma non posso.

I miei pensieri vengono brutalmente interrotti dalla “controllora” che chiede i biglietti: una “controllara” in carne e pure ingioiellata che lascia, al suo passare, una scia dolciastra di profumo. Incomincia a darmi fastidio un tipo seduto due posti avanti a me, che sta leggendo a voce alta il giornale alla moglie: il suo cantilenare è stridulo e fastidioso. Sono convinta che se ci fosse il sole non ci avrei nemmeno fatto caso. Ma adesso sta piovendo e il mio umore non è dei migliori. A peggiorare la situazione si mettono pure i vicini di corridoio, che fino a questo momento se ne stavano tutti buonini a leggere, e ora invece hanno aperto una confezione di tarallucci e stanno sgranocchiando alla grande. E siccome i tarallucci non sembrano averli saziati, ora attaccano anche con i biscotti. Per fortuna mangiano con la bocca chiusa, perché potrei anche mettermi a gridare. Forse farei davvero meglio a chiudere gli occhi e ad estraniarmi da tutto e da tutti. Per distrarmi guardo fuori dal finestrino: ma la vista è sconfortante: nebbia, pioggia e ovunque pennellate di grigio. Non c’è speranza. Questa volta davvero chiudo gli occhi e non li riapro più fino a destinazione.

 

clà ( claudia@interware.it )

© 16 Marzo 2011

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