L’orrore dei lager raccontato dalle deportate slovene
Un libro sulla tragedia delle deportazioni, ma anche sulla tenacia delle donne
“Quando viene Natale e vedo i presepi, scappo via, perché almeno tu, Gesù, hai avuto un po’ di paglia, io nemmeno quella”. Questi, i terribili ricordi che riemergono dal passato violento e indimenticabile di Bojana Pausi?, ex deportata politica della seconda guerra mondiale, tra le protagoniste del libro Le nostre ragazze vanno in Germania. La memoria slovena del Carso goriziano di Doria Makuc. Il volume, edito dal Centro “Leopoldo Gasparini” assieme alla Fondazione – Sklad Dor?e Sardoc (pgg. 239, € 10), è stato presentato in questi giorni alla Casa Internazionale delle Donne in occasione di Primavera di donne 2011.
Alla presentazione, la Pausi? è stata l’unica testimone a raccontare con fatica l’indicibile esperienza dei campi di concentramento. Le voci delle attrici Mara Artuso e Luigia Bonetti hanno invece rievocato le vicissitudini delle altre figure femminili riportate nel libro.
Siamo nel ’44 e Bojana Pausi?, dopo essersi sposata con un partigiano, viene trasferita a Ravensbrük e poi ad Auschwitz. Bojana però aspetta un bambino. Con l’arrivo dei russi nel 1945, i nazisti fanno evacuare i deportati, che pensano di essere stati liberati, mentre vengono avviati alla “Tod in der Marsch” o “marcia della morte”: sotto la neve, il ghiaccio e senza cibo, Bojana s’incammina verso la stazione ferroviaria, dove viene lanciata insieme ai compagni in un vagone merci. Il treno si ferma davanti a una chiesetta e Bojana si sente una regina perchè riesce a partorire, grazie all’aiuto della famosa religiosa tedesca Edith Stein.
Giornalista e donna di cultura, Makuc ha voluto dedicarsi a ricordare la sofferenza delle donne, originarie dei dintorni di Nova Gorica, che sono riuscite a far ritorno dai campi di concentramento, miserabile avventura che negli anni immediatamente successivi alla guerra, non era possibile raccontare perché la gente non aveva voglia di ascoltare o perchè le sopravvissute si sentivano in colpa per essere riuscite a ritornare e molti familiari pensavano erroneamente che avessero compiuto qualche atrocità per scampare alla morte.
«Nel libro – ha affermato la storica Silva Bon – macrostoria e microstoria s’intrecciano: le esperienze individuali di queste donne s’intersecano con gli eventi della seconda guerra mondiale, in particolare con quelli del litorale sloveno occupato dai nazisti dopo l’8 settembre. Un periodo in cui gli abitanti della minoranza del Carso goriziano e triestino subirono una violenza contro la propria identità culturale e politica. Il libro – ha concluso Bon – non vuole solo ricordare la tragedia delle deportazioni, ma anche la tenacia delle donne”.
Le foto sono state gentilmente concesse dalla Casa Internazionale delle Donne di Trieste
© 16 Marzo 2011