“Il Grinta”, una bravissima Hailee Steinfled non basta
di IVicinanza
L’ultima produzione dei fratelli Coen non dispiace, ma nemmeno stupisce
Una voce calda, di donna matura, racconta la sua storia mentre nel buio dello sfondo si definisce lentamente il cadavere di un uomo, suo padre, abbandonato nel cortile di casa in una fredda notte d’inverno di fine Ottocento.
Mattie Ross (Hailee Steinfled) giovane quattordicenne dell’Arkansas, decide di vendicare l’amato padre ucciso da un suo manovale, Tom Chaney, dedito all’alcol, agli affari loschi e di indole violenta.
Il senso di giustizia e il desiderio di rivincita, che da secoli si sa non possono corrispondere, sono così profondi nel suo animo ferito, tanto da spingerla ad ingaggiare un ex sceriffo, Rooster Cogburn (Jeff Bridges) anche lui alcolizzato, con le mani macchiate di sangue e non certo noto per la sua disponibilità.
É a lui e al texas renger LaBoeuf (Matt Damon) già da tempo sulle tracce di Chaney, che si affida completamente per ritrovare il fuggitivo ormai giunto in terra indiana; la determinazione è tale che nulla, neanche la sete, la fame, la stanchezza e il sangue che vedrà spargere, potranno fermarla.
Senza grandi pretese Il Grinta, ultima creazione dei fratelli Coen, si svolge come un western classico, senza colpi di scena se non quelli che possono essere già immaginati da un pubblico, lo stesso che non è cresciuto a spaghetti, acqua e Sergio Leone.
Tratta dal romanzo omonimo di Charles Portis, e nata come rimake de Il Grinta (1969) di Henry Hathaway, questa pellicola ripropone nel XIX secolo un genere ormai morto e che forse andrebbe ricordato.
Rispetto all’originale, che aveva valso l’Oscar al mitico John Wayne, i Coen hanno riportato in sala una storia che non appartiene più, o almeno non dovrebbe, ai nostri tempi: il risolvere le questioni da sé, pur in nome della giustizia, per la famiglia, per il popolo, a qualsiasi mezzo.
Se molti, oltre oceano, hanno sostenuto che questa rappresentazione rispondesse a un bisogno, il ritorno del western, altri invece l’hanno vista solo e semplicemente per quello che è, unico modo per non mistificare un film, cercandone scopi e intenti probabilmente insostenibli, dalla visione comunque gradevole.
Quanto alle interpretazioni nulla da dire: l’affascinante Jeff Bridges rimane tale anche se un pò invecchiato dal trucco di scena e dalla benda su un’occhio, Matt Damon è forse poco credibile nei panni del walker texas ranger, solo perchè gli si addicono meglio quelli del belloccio timido e impacciato (che ci verranno riproposti in I guardiani del destino di George Nolfi il prossimo maggio) e sorprende una bravissima Hailee Steinfled che al debutto cinematografico, interpretando una sua coetanea, non lascia trasparire l’emozione comprensibile dell’inesperienza, anzi, il ruolo della figlia devota e ostinata le calza tanto bene quanto quello della giovane colta (per l’epoca) dalla battuta pronta e con la lingua tagliente, decisamente più apprezzabile in questa forma giovanile che nella versione finale, della donna cresciuta, bisbetica e scorbutica zitella.
La regia è neutra come richiede il genere, molte dissolvenze incorciate, campi lunghi e lunghissimi, ma nessun piano americano per i duelli dei pistoleri che si svolgono in corsa a cavallo e a lunghe distanze.
Un film che non dispiace ma certamente non stupisce ecco forse spiegata la sconfitta completa agli ultimi Academy Awords.
Joel e Ethan Coen
Joel David Coen classe 1954 e il fratello Ethan Jesse Coen di tre anni più giovane sono ormai famosi per il loro stile consacratosi grazie alle prime commedie “irriverenti e sofisticate”.
La collaborazione tra i due fratelli è così stretta che addirittura vengono indicati con lo pseudonimo Roderick Jaynes anche se formalmente Joel appare sempre come regista e Ethan come produttore e sceneggiatore.
Ma cos’è “lo stile Coen”? Primissimi piani sui corpi del reato, macchina da presa a rasoterra, violenza assurda e humour nero, ironia acuta, dialoghi insolitamente loquaci o a volte assolutamente laconici e minuziose descrizioni di città, stati e regioni americane come componenti integranti e protagoniste delle loro pellicole.
Quella per il cinema è una passione che i due hanno provato sin da bambini e che hannomesso a frutto comprando una Vivitar Super-8, camera che servì loro per riprodurre, con il vicino di casa Mark Zimering, i film che vedevano in televisione.
Prima creazione è stata Zeimers in Zambia ispirato al film del 1966 di Cornel Wilde La preda nuda.
Nonostante i due fratelli si siano separati dopo il liceo, la loro collaborazione lavorativa è sempre proseguita saldamente, così, nel 1984, hanno firmato la loro opera prima Blood Simple – Sangue facile con Frances McDormand (futura moglie di Joel).
Grande amico di Steve Buscemi, Jon Polito, John Godoman, John Turturro, George Clooney, Michael Badalucco, Charles Durning, Peter Stormare, Tony Shalhoub e Billy Bob Thornton, Ethan (e quindi anche il fratello) si è creato una cerchia di big attorno a sé, così da garantirsi un futuro e lavorando ai propri progetti con più facilità, la classica sicurezza data dalle conoscenza.
Tra le opere poi realizzate ci sono il comico Arizona Junior con Nicolas Cage (1987), Crocevia della morte (1990) e Mister Hula Hoop (1994) con Tim Robbins e Paul Newman.
I Coen hanno vinto numerosi premi tra cui 4 Oscar: miglior sceneggiatura originale per Fargo (1996) e miglior film, regia e sceneggiatura non originale per Non è un paese per vecchi (2007).
Plurinominato ai Golden Globe e ai BAFTA (British Academy of Film and Television Arts), nel 1998 mettono a segno il grande colpo con Il grande Lebowski, lo stesso anno Eatan firma la sceneggiatura de Lo spezzaossa e con Fratello, dove sei? Del 2000, tratto dall’Odissea di Omero, riceve una candidatura all’Oscar e ai BAFTA per la miglior sceneggiatura non originale, nomination ripetuta l’anno successivo per L’uomo che non c’era.
Nel 2004, dopo il quasi fallimentare Ladykillers decidono di collaborare con altri registi fra cui Jean-Luc Godard, nella pellicola collettiva, Paris, je t’aime e poi con il documentario mosaico A ciascuno il suo cinema del 2007.
E’ proprio in quest’anno che firmano un altro capolavoro Non è un paese per vecchi un thriller morale che vince il Golden Globe per la migliore sceneggiatura e il BAFTA per la miglior regia.
Proseguono la loro attività con Burn After Reading (2008) con Brad Pitt e John Malkovich e con A serious man, commedia del 2009 cui segue il remake di True grit (1969) di Henry Hathaway in questi giorni nelle sale italiane.
Jeff Bridges
Figlio d’arte degli attori Lloyd Bridges e Dorothy Dean Bridges e facente parte di una faiglia dedita al mondo del cinema, aveva solo quatto mesi quando esordì nella pellicola N.N. Vigilata speciale del 1951 con John Cromwell.
Ancora alla Palisades High School debutta accanto a suo padre in tre episodi del telefilm The Lloyd Bridges Show (1962-1963). Diplomato si iscrive alla University High School di Los Angeles e poi entra a far parte della guardia costiera americana ma la carriera marinaia non è ciò che il destino ha disegnato per lui.
Nel 1970 appare nella pellicola The Yin and the Yang od Mr. Go accanto a James Mason e grazie alla predilezione che i registi Paul Bogart e Robert Benton nutrono per lui, riesce a farsi conoscere nell’ambiente cinematografico, non per le sue origini artistiche, quanto piuttosto per generosità e affidabilità professionale nonostante i problemi con LSD e marijuana.
Nel 1972 riceve la sua prima nomination all’Oscar come miglior attore non protagonista nel film di Peter Bodganovich L’ultimo spettacolo (1971), ottimo trampolino di lancio per questo volto poi scelto da John Huston in Città amara – Fat City (1972) e in La terra si tinse di rosso (1973). Altra candidatura gli spetta per il ruolo di scudiero metropolitano nel poliziesco di Michael Cimino Una calibro 20 per lo specialista (1974) accanto al formidabile Clint Eastwood ma questa volta la statuetta gli viene soffiata da Robert De Niro per Il padrino – Parte II.
Tra gli anni ’80 e ’90 viene ingaggiato per moltissimi film: Doppio taglio (1985), Il mattino dopo (1986), Tucker – Un uomo e il suo sogno (1988) sotto la direzione di Francis Ford Coppola, I favolosi Baker (1989) e ancora La leggenda del Re Pescatore del 1991 di Terry Gilliam e L’albatross – Oltre la tempesta del 1996. Ma è nel 1997 che interpreta quello che viene ricordato come il ruolo migliore di tutta la sua carriera: Jeff “Drugo” Lebowski, protagonista de Il grande Lebowski di Joel Coen.
Lo si rivede nel fiabesco Tideland – Il mondo capovolto del 2005, in Star System – Se non ci sei non esisti nel 2008, nella commedia L’uomo che fissa le capre del 2009, accanto a George Clooney e lo stesso anno nel film Crazy Heart di Scott Cooper, che gli vale il Golden Globe e l’Oscar come Miglior Attore. Nel 2010 si sdoppia interpretando prima un padre disperso che approda nell’universo cinebertico di Tron Legacy e poi lo sceriffo Rooster Cogburn ne Il Grinta dei fratelli Coen.
Hailee Steinfeld
Californiana, living in Los Angeles, esordisce al grande schermo proprio con i fratelli Coen ne Il Grinta come protagonista, un’inizio non da poco, considerando che si tratta di una pellicola pluricandidata agli Oscar 2011.
La sua carriera è iniziata già a 9 anni quando, dopo un anno di recitazione e di prime prove come lettrice, trova un agente che la propone in diversi spot pubblicitari, in una serie di cortometraggi, e in fine nel telefilm di Kelsey Grammar Back to You.
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© 4 Marzo 2011