La Voce di Trieste

La bora, l’Ursus, il porto ed il mare

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Commento

Gli inetti, e così spesso cialtroni, che si alternano non da oggi nel malgoverno di questa città a loro profitto, non solo non hanno per l’inverno un piano-neve che funzioni.Non hanno neanche un piano-bora. A Trieste, città della bora.

Dove amministrazioni del passato molto più povere, oneste e meno arroganti sapevano almeno mettere e conservare nei punti critici i passamani fissi, e provvedere rapidamente ad integrarli con quelli provvisori di corde tese tra paletti infilati in appositi fori della sede stradale. Corde che nessuno pensava di buttar via, paletti che nessuno si sognava di togliere, e fori che nessuno si metteva ad asfaltare.

L’hanno fatto invece da un po’ d’anni questi idioti – anche per le loro “riqualificazioni urbane” da incompetenti ed in odore non certo di santità amministrativa – che poi gridano alla calamità naturale straordinaria ogni volta che la bora incomincia a superare la soglia, qui ordinaria, dei cento chilometri orari.

La calamità sono loro. Non si è mai vista, che io ricordi, una quantità simile di cittadini, oltre un centinaio, rimanere feriti dalla bora, anche furibonda, per il semplice motivo che dove batte più forte non ci sono più gli appigli per aiutarsi a reggerla.

E che dire di come hanno ormeggiato il monumentale, storico pontone navale Ursus, che qualsiasi altro porto italiano ed europeo curerebbe come un gioiello prezioso, e qui lasciamo in rovina vergognosa?

È forse una delle immagini triestine più pregnanti di questi anni, l’Ursus, simbolo della città-porto plurinazionale ed operosa della civiltà absburgica, che con l’aiuto della bora rompe infine gli ormeggi del degrado disperato d’oggi e si allontana grande, ruggine e solitario puntando al largo, nella nebbia di spruzzi che le raffiche sempre più forti strappano alla cresta delle onde, accompagnandolo.

Sono davvero come antichi compagni ritrovati: l’alta e fiera struttura di acciaio costruita dallo scomparso uomo-fabbro dei propri beni e destini, la bora che modula note d’organo nel cielo che scurisce, il mare solido dentro e sopra inquieto che da questo ed ogni altro approdo conduce a tutto il resto del mondo.

Mentre noi restiamo arenati, a lasciarci comandare ed abbindolare nelle piccole e grandi cose da schiere di inetti, cialtroni ed idioti. Che ingrassano e se la ridono sulla nostra inerzia ed incapacità di indignazione attiva. C’e da pensarci molto seriamente.                        

P.G.P.

QUI il video della notte di bora a Trieste

QUI la gallery dell’Ursus in fuga


© 2 Marzo 2011

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