La Voce di Trieste

Roberto Menia e l’inganno del “futurismo”

di

Analisi

In un’intervista a Paolo Rumiz sul Piccolo del 23 febbraio il parlamentare ora finiano Roberto Menia sostiene anche lui, improvvisamente, che occorre liberarsi dalla casta parassita che immobilizza Trieste, riferendola ovviamente ad altri ed a freni economici (vedi qui la nostra differente analisi). Dovremmo regalargli uno specchio, perché dimentica che qui il potere di quei parassiti politico-economici si è insediato e giustificato col pretesto morale patriottico ed il braccio violento del nazionalismo e neofascismo di confine, per poter emarginare e perseguitare come “antiitaliano” chiunque ne denunci i sistemi di malaffare ed il pseudopatriottismo aggressivo.

Del quale proprio Roberto Menia risulta esser sempre stato e rimasto un duce locale estremo e (a differenza dal suo amico Fini) mai pentito né dissociato, lucrandone pure una carriera politica e di governo inspiegatamente rapida.

Non è inoltre inganno minore il fatto che lui ed altri neo- o post-fascisti conclamati si richiamino ora invece al Futurismo italiano, approfittando dell’aura di modernità e progresso di questo nome che la gente non sa più nemmeno cosa significhi. E riattualizzandolo con mostre d’arte ambiguamente apologetiche, organizzate qui con le strutture ed il denaro pubblici del Comune e di altre istituzioni che subiscono o iollerano il loro malgovernano. Senza che nessun nostro collega o politico abbia il coraggio o la capacità di esporsi a spiegare cosa veramente significa questo nome. Lo facciamo quindi noi.

Che cos’è in realtà il Futurismo

Il Futurismo italiano è stato un movimento culturale ed artistico rivoluzionario materialista degli inizi del Novecento, e poi animatore del fascismo. Consisteva nell’esaltare stolidamente come valori supremi il progresso scientifico e tecnologico, l’industria meccanica, la velocità, l’aggressività, la violenza, il superuomo, e con essi le guerre, dal primo conflitto mondiale a quelle di Mussolini, come diritto di conquista e mezzo di ‘selezione’ naturale.

Il “Manifesto del Futurismo” con cui Filippo Marinetti fondò questo movimento nel 1909 è così esplicito nel suo programma ideologico da proclamare tra altro, alla moda delle avanguardie pre-fasciste e pre-naziste di allora: « […] Noi vogliamo glorificare la guerra ? sola igiene del mondo ? il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna. Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie, e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica e utilitaria. […] È dall’Italia che noi lanciamo per il mondo questo nostro manifesto di violenza travolgente e incendiaria col quale fondiamo oggi il FUTURISMO perché vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, d’archeologi, di ciceroni e d’antiquari. Già per troppo tempo l’Italia è stata un mercato di rigattieri. Noi vogliamo liberarla dagli innumerevoli musei che la coprono tutta di cimiteri.»

Queste proclamazioni suggestive dissennate, oggi incompatibili anche col nostro ordinamento costituzionale, sono una delle espressioni più evidenti ed allora più influenti di quell’esplosione a caterna di ideologìe ìnfere ? perché antiumanistiche, antireligiose ed antitradizionali? di pseudodestra e pseudosinistra che hanno devastato la cultura la vita del Novecento europeo. Coprendolo esse dei nuovi cimiteri di milioni di vittime innocenti delle nuove pratiche atroci partorite come modernità assoluta assieme alle discriminazioni nazionali, razziali, religiose e di classe, che riemergono ancora tutte nel nostro presente.

Dove sta l’imbroglio

Sul piano artistico il Futurismo in Italia ha prodotto opere e correnti che come ogni altra rimangono ovviamente d’interesse per la storia, appunto, dell’arte. Ma il Menia ed i suoi non sono affatto artisti. Quello a cui si richiamano loro è il Futurismo politico, che ha prodotto e giustificato le guerre d’aggressione italiane dal 1915 in poi, le dannunziate, lo squadrismo ed il regime fascista, con tanto di leggi razziali ed alleanza collaborativa col nazismo. E qui anche con la discriminazione e persecuzione, dal 1918 al 1945, delle popolazioni non-italiane annesse. Infrangendo e devastando in pochi anni, a rovina di noi tutti, 14 secoli di convivenza pacifica e feconda tra lingue e culture romanze e slave lungo tutta la costa adriatica orientale.

Dunque Menia e gli altri che ora sembrano abbandonare la loro militanza ideologica fascista (ed in buona parte anche filonazista) per abbracciare un neo-Futurismo dall’aura progressista ci stanno soltanto prendendo in giro, nella peggiore tradizione trasformista e gattopardesca della politica italiana: cambiare tutto in modo che non cambi nulla, approfittando delle troppe ignoranze storiche  coltivate dalla politica nella gente. Perché la presunta novità che dichiarano di abbracciare non è altro che la radice ideologica estremista, ottusa e violenta di ciò che mostrano di abbandonare. Con analogia paradossale: é come  abbandonare il nazismo per riferirrsi al movimento che ha per manifesto il Mein Kampf.

Quello che non è vera destra (e nemmeno sinistra)

Costoro ed i loro predecessori ci devono inoltre spiegare ancora ? da una novantina d’anni e dunque ad almeno quattro generazioni di giovani attratti o respinti ? come si possano spacciare per destra tradizionale e spirituale dei movimenti che ne sono invece l’esatto contrario perché modernisti, materialisti, sostenitori del primato del gruppo sulla persona, e della violenza ed esaltazione irrazionaliste sui valori tradizionali di bene, verità e giustizia propri dello spirito e della ragione.

Anche perché si tratta degli stessi principi negativi che hanno animato, in opposizione perciò solo apparente a quella pseudo-destra, contraffazioni storiche ed attuali altrettanto mostruose e sanguinarie degli ideali umanitari della sinistra. Questi due inganni ideali e politici di pseudo-destra e pseudo-sinistra sono già costati nella storia italiana, europea e planetaria troppe sofferenze morali e materiali perché non si abbia il dovere di denunciarli con chiarezza, prescindendo da ogni altra considerazione. E chiunque continui a perpetuarli, sia per calcolo, ignoranza od ottusità, non è perciò stesso degno della fiducia dei cittadini, né di governare con i loro voti. Nemmeno un pollaio.

Figuratevi una città.

 

Paolo G. Parovel


© 28 Febbraio 2011

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