Un incontro imprevisto sul treno
di CGiacomazzi
Era iniziato come un viaggio tranquillo
Mi sarebbe sempre piaciuto avere dello spazio in un giornale per parlare del più e del meno, in modo non serio, ma nemmeno frivolo, insomma tra il serio e il faceto. Adesso questa opportunità ce l’ho ma improvvisamente mi trovo con il foglio bianco davanti in preda al panico. Potrei parlare di milioni di cose e di nessuna. Che cosa può interessare ad un lettore? Meglio ancora. Se fossi io il lettore di questa rivista che cosa mi piacerebbe leggervi? Che domanda imbarazzante mi sto facendo. Certo che se avessi la possibilità di mandare o ricevere una mail da tutti quelli che sfogliano queste pagine sarebbe più semplice. Magari potrei inserire il mio indirizzo a fondo pagina per vedere intanto se c’è qualcuno che, dopo aver letto queste righe, ha qualcosa da dirmi.
Ma questa è la prima puntata, la puntata d’esordio, quindi devo decidere io di che cosa parlare.
Inizio.
È quasi mezzogiorno e come ogni martedì sono in treno. Sto andando a Treviso. Contrariamente alle mie abitudini sono seduta nel senso contrario alla direzione di marcia del treno e pure dalla parte in cui non si gode della vista mare (almeno fino a Monfalcone). Il perché di questa scelta? Non lo so sinceramente, forse perché avevo solo voglia di cambiare. Non c’è mai molta gente a quest’ora e, con mia grande gioia, ho parecchio spazio libero intorno a me. Scelgo accuratamente il posto, perché la settimana scorsa mi ero seduta vicino ad una donna dall’apparenza innocua, che poi si è rivelata essere una rompiscatole disumana, che non ha fatto altro che telefonare e parlare a voce alta per tutto il tragitto. E una cosa che non sopporto è di non poter utilizzare al meglio il tempo in treno. Di solito scrivo, leggo, correggo bozze ma quando mi capita di sedermi vicino a gente caciarona è la fine. Per fortuna intorno a me non vedo gente potenzialmente pericolosa: c’è un giovane uomo con una strana montatura d’occhiali che sta addentando un panino all’apparenza molto appetitoso, e lo si capisce dalla voracità con cui lo sta mangiando, e poco più in là vedo una donna sulla trentina con un trolley piuttosto ingombrante che è immersa nei suoi pensieri. Direi che c’è da star tranquilli, almeno per il momento. Prendo il portatile dalla borsa, lo accendo e inizio a scrivere e mentre sto digitando freneticamente, perché finalmente mi è giunta l’illuminazione, vedo, con la coda dell’occhio, che sta arrivando un ragazzo dal fondo del corridoio. Più che vederlo ne percepisco la scia: un profumo o dopobarba veramente di pessima qualità. Lo inquadro meglio, perché si siede proprio di fronte a me. Trentenne con capello gelatinoso, taglio corto, occhiali bianchi di Armani, immancabili cuffiette bianche che ben s’intonano con gli occhiali, jeans, giubbotto in pelle, musica a palla, oltre al nauseabondo odore/profumo che si porta appresso. Tengo la testa bassa perché non voglio in nessun modo che attacchi bottone. Poi distrattamente alzo il capo e lui mi guarda e mi dice:
“Scusi, non volevo disturbarla”
“Nessun disturbo”, rispondo. E così attacca bottone. Si presenta e mi dice che sta andando a Cervignano a pranzare da un amico. Ma dico, ti sei chiesto se mi interessa, penso tra me e me. Per non essere maleducata sostengo la conversazione: nello spazio tra Monfalcone e Cervignano, riesce a dirmi dove abita, che cosa fa a carnevale, che si trova con i suoi amici e altre amenità. Nel frattempo si è tolto le cuffie ed è evidente che vuole continuare a parlare con me. Ma che cosa lo ha spinto a sedersi proprio qui? Io stavo tranquillamente seduta al mio posto e stavo lavorando. Che siano state le mie vistose calze viola? O la mia camicetta un po’ sgargiante o voleva conoscere la marca del mio portatile? Non lo so, fatto sta che non avendo voglia di continuare a chiacchierare, riprendo a sbatacchiare i tasti. Lui intanto se ne sta zitto, ed è evidente che è un po’ scocciato che io abbia chiuso la conversazione. Poi, improvvisamente esordisce con: “Scusa se ti disturbo, ma visto che sto per arrivare a destinazione, non è che ti andrebbe di lasciarmi il numero di telefono, così, magari per risentirci o per andare a bere un caffè insieme?” Lo guardo e cerco di rimanere seria. Ma faccio molta fatica a trattenermi dal ridere, tanto la scena sia surreale. Non so da che parte iniziare, ma devo pur farlo, per non essere proprio scortese:
“No, guarda, non è il caso, potrei anche prendere il tuo numero di telefono, ma poi sono sicura che non riuscirei a chiamarti. Lo so, mi conosco. Non offenderti”. A quel punto pensavo avesse capito l’antifona, invece l’uomo che mi trovo di fronte deve essere disperato, perché continua ad insistere. Penso allora che devo essere più incisiva. Magari gli posso dire che ho sei figli e che sono impegnata, funziona sempre.
“Guarda, sono molto impegnata e so già che non avrei tempo per venire a bere un caffè con te. Pensa che ho amici a cui tiro regolarmente pacco. Mi sembra quindi più onesto non prendere il tuo numero di telefono e nemmeno darti il mio. Magari se ci incontriamo di nuovo in treno, potremo continuare la nostra conversazione, ma per il momento chiudiamo qui”. L’espressione dipinta sul suo viso, mi fa capire che forse il messaggio, questa volta, gli è arrivato forte e chiaro. Il treno sta per arrivare in stazione e l’uomo (cavolo, mi ha anche detto il suo nome, ma non me lo ricordo proprio) si alza e mi porge la mano in segno di saluto. A mia volta io gli porgo la mia. Evidentemente non aspettava altro, perché con mossa veloce e quanto mai inaspettata si protende verso di me e mi bacia sulle guance. Io mi ritraggo un po’ sconvolta per il gesto libertino dello sconosciuto ma soprattutto perché sono entrata a diretto contatto con il suo olezzo.
Dopo che l’uomo è sceso dal treno, mi guardo intorno con fare circospetto, ma nessuno sembra essersi accorto di nulla e io, anche se ancora sotto shock, riprendo a scrivere, nella speranza di non fare più altri strani incontri fino alla stazione di Treviso. Aveva ragione la nonna: mai dare confidenza agli sconosciuti!
clà (claudia@interware.it)
© 25 Febbraio 2011