Rio Martesin: a che gioco giochiamo?
Dopo due mesi dalla sentenza del Consiglio di Stato che annulla le tre concessioni edilizie rilasciate dal Comune di Trieste nella valle del Rio Martesin ed esige il ripristino al preesistente, nulla è successo. Il cantiere è abbandonato, da quattro mesi il ponte pubblico irrimediabilmente compromesso dal passaggio di ruspe da trenta tonnellate è usato ancora per il passaggio pedonale ma precluso ai mezzi, e si è una demolita una casa con abbandono in loco delle macerie. Si sono devastati entrambi i versanti delle montagne di Gretta e Scala Santa, recintati in ferro e reti plastiche rosse, in un sito che la Soprintendenza pare non tuteli, nonostante sia sotto vincolo paesaggistico. Si sono succedute riunioni, Commissioni, sopralluoghi del Sindaco Dipiazza, degli Uffici Tecnici, della IV Commissione con il Presidente Lorenzo Giorgi, ma non sono serviti a nulla: ognuno dice la sua, ma in pratica non si fa niente. E davanti all’evidenza si continua da parte dei Vigili Urbani a dichiarare che il cantiere persiste, che le recinzioni sono in regola e che il ponte ( bene pubblico) rientra nell’area abilitata al cantiere e non ad uso dei cittadini.
Giungono voci che da alcuni politici e da certi uffici tecnici comunali si sia espressa forte contrarietà alla sentenza del Consiglio di Stato e altrettanto forte disappunto verso i Giudici.
Nella riunione della IV Commissione comunale di venerdì 11 febbraio in Rio Martesin, quasi nessun politico presente ha voluto aderire alla proposta della consigliera Bruna Tam di garantire ai cittadini con il nuovo PRGC (Piano regolatore generale del Comune) il mantenimento senza cambiamenti dell’articolo del regolamento edilizio comunale n°18, che dà gli indirizzi tecnici per le costruzioni sui pastini.
Il consigliere Sasco, tra proposte di ogni tipo, auspica il mantenimento del vecchio PRGC del 1997, che secondo lui garantirebbe la non edificabilità della zona. In realtà con quel PRGC la zona sarebbe costruibile come B4. Di altra idea sono i consiglieri Lorenzo Giorgi, che ha sempre dichiarato essere questo un progetto “porcata”, ed Alfredo Racovelli, l’unico politico che ha dato concreto aiuto alla cittadinanza.
Mentre è di questi giorni la nuova strategia da parte di tecnici e politici comunali di diffondere la notizia terroristica che con questa sentenza e senza la modifica dell’articolo 18 nulla si costruirà più sui pastini di Trieste. Questi sono coloro che vedono evidentemente passare il rilancio della città non attraverso il porto o la scienza, ma tramite le colate devastanti di cemento, dove poco si rischia e tanto si guadagna.
Ed in realtà quell’articolo 18 permette di costruire ma senza stravolgere i pastini, e senza scavi colossali che mettono a rischio la sicurezza dei versanti da smottamenti. Garantendo con ciò il cittadino che si vuole costruire la casetta per il figlio, senza trovarsi un domani accerchiato da mostri edilizi e minacciato da frane e dissesti idrogeologici. Enormi pressioni vengono fatte quindi per la modifica dell’art. 18 da imprese dell’edilizia speculativa che arrivano qui anche da altre parti d’Italia (nel nostro caso da Roma). Qui i prezzi dei terreni sono più bassi rispetto al resto del paese, la manodopera che arriva d’oltre confine è più vantaggiosa e a basso costo, il piano regolatore del 1997 redatto allora dall’amministrazione Illy- Cervesi è accondiscendente, e la politica attuale è rispettosa verso i poteri forti (come conferma una lettera inviatami sul nostro caso da un politico).
Nei paesi democratici le sentenze delle massime Corti giudicanti, qui il Consiglio di Stato, vengono rispettate ed attuate. Qui lo si deride, e sottobanco si tenta di eluderne la sentenza per riprendere la prassi illegittima di prima. I cittadini dovranno perciò armarsi di buona volontà e procedere a nuove denunce contro il Comune e tutti i corresponsabili che hanno incredibilmente permesso questo scempio nella zona di Rio Martesin. Inclusi gli uffici che inoltre, in barba ai regolamenti, danno il benestare sul tombamento di un torrente con i fondi regionali per i torrenti esondanti e senza che questo rigagnolo abbia mai esondato; rilasciano concessioni edilizie senza tener conto delle distanze dai torrenti (legge Galasso) anche se intombati; permettono che nel torrente si versino le fognature delle future edificazioni; consentono che si evitino con stratagemmi la VIA; non tengono conto di una viabilità inadeguata; non bloccano il cantiere nonostante inadempienza della loro stessa prescrizione che richiede, a pena di decadenza della concessione, il progetto per l’interramento della linea elettrica ad alta tensione.
I Vigili Urbani chiamati per sopralluoghi, non vedono nella situazione nulla di anormale; anzi, alle proteste dei cittadini che non possono transitare per il ponte pericolante, puntellato, ristretto e durante i lavori pieno di fango, un maresciallo dei Vigili ci ha solo invitati amichevolmente al fai da te, ovvero a pulirlo noi. Benché non ci siano strade alternative, ed il ponte sia segnato sulle mappe come demaniale assieme al torrente.
Insomma, a che gioco giochiamo?
Dario Ferluga
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Ci sembra sempre più evidente: noi cittadini a quello della legge, e troppi politici a quello della mala amministrazione e dei malaffari. Una delle molte versioni adulte del “guardie e ladri” che ci divertiva tanto da bambini. Ma qui non è più un gioco, e la parte che dovrebbe scappare tenta invece di imporsi usando i poteri dell’autorità locale sia contro il cittadino che contro l’autorità dello Stato che invece lo difende. Ed il tutto rende questa giusta battaglia, con cui siamo pienamente solidali, anche un caso molto istruttivo.
© 25 Febbraio 2011