I Laibach all’assalto di Trieste
La storica band riempie il Teatro Stabile Sloveno
Nella sala gremita di un pubblico eterogeneo per stili e per età, la signora che chiede alla vicina di posto “non c’è il libretto?” rivela di non essere molto al corrente di ciò cui andrà incontro questa sera al Teatro Stabile Sloveno. Le premesse, per chi le conosce, non sono tranquillizzanti: gli sloveni Laibach, che presentano il tour “Laibach Revisited” per festeggiare i trent’anni di attività, sono stati definiti da un giornalista americano la “band più pericolosa del mondo”, in seguito alla censura che subirono in Jugoslavia all’inizio degli anni ’80.
La band nacque all’interno di un più ampio movimento artistico che prese il nome di NSK (Neue Slowenische Kunst, Nuova Arte Slovena). I Laibach portarono alle estreme conseguenze i propositi del movimento stesso, affermandosi in virtù di una poetica che faceva della provocazione la sua arma principale, e che li rese appunto invisi al governo jugoslavo: con la messa in scena di una musica marziale, cupa, industriale, e di una pantomima visiva da regime dittatoriale, si proponevano di mettere in luce la disumanità e le profonde incoerenze di ogni totalitarismo.
La prima parte del concerto è dedicata alle nuove versioni di canzoni risalenti ai loro esordi. I Laibach si presentano con un impianto scenico minimale, in cui dominano gli effetti-luce, mentre su due schermi in fondo al palco vengono proiettate immagini e frasi tratte dalle canzoni. Il risultato di questo connubio di musica, luci, immagini e parole è una sensazione opprimente, quasi di disagio. Mentre la band affianca rumori, pianoforti dissonanti e urla filtrate da un megafono, sugli schermi scorrono fotogrammi di strani ingranaggi, di carni pulsanti, di filmati anni ’30, insieme a frasi ambigue in inglese e tedesco, come we are forging the future (ovvero Mi kujemo bodocnost), o go with us into the new light. Pezzi storici come Brat Moj, Smrt za smrt o Nova Akropola vengono così ripresentati in uno spettacolo disturbante, a cui le declamazioni monocordi di Milan Fras aggiungono una nota esoterica – almeno per chi non conosce lo sloveno.
Probabilmente la musica da sola non raggiungerebbe gli stessi risultati. In effetti il genere industrial-elettronico non è più innovativo come lo era negli anni ’80; e l’utilizzo di una batteria “umana”, se da un lato vivacizza e rende più dinamici i pezzi, dall’altro smorza l’effetto di alienazione che avrebbe avuto invece una drum machine. Questo non toglie che la resa complessiva dello spettacolo sia di rara efficacia: la band sfrutta sapientamente le possibilità che solo la dimensione live può dare, e realizza uno show totale, un bombardamento di suggestioni.
Nella seconda parte del concerto la tensione cala, ma non la potenza: vengono infatti proposti pezzi più tirati, tra cui i cavalli di battaglia Tanz Mit e Alle gegen alle (originariamente dei D.A.F.), e tra il pubblico più di una testa dondola a ritmo con le basi techno-ebm. Nonostante prosegua l’assalto sensoriale di luci e immagini, l’atmosfera si fa più rilassata; qualcuno sulla balconata si alza e balla.
Nel finale i Laibach attingono tre pezzi dall’album Volk del 2006, le cui canzoni sono delle manipolazioni di vari inni nazionali. L’attacco all’ipocrisia statunitense di Amerika suona retorico, per quanto condivisibile, ma l’esperimento musicale è riuscito. Italia ci regala invece una splendida performance vocale di Mina Špiler, finora impegnata al sintetizzatore; e mentre sui due schermi scorrono i titoli di testa di La dolce vita da un lato e di Salò o le 120 giornate di Sodoma dall’altro, i Laibach ci invitano a untie the ties, slegare i nodi che ci legano al passato e a riprenderci il presente. Infine Slovania chiude il concerto sull’onda di una riappacificazione col mondo, ma solo dal punto di vista sonoro.
Sulla base di Das Spiel ist aus scorrono (letteralmente!) i titoli di coda della serata, mentre i Laibach tornano sul palco a ricevere gli ultimi applausi di un concerto che ha confermato la loro fama di gruppo provocatorio e dissacrante. Anche se non sono certo “la band più pericolosa del mondo”, sono un gruppo che non scende a compromessi. E il pubblico, a giudicare dai volti provati ma soddisfatti che indugiano all’uscita, ha certamente apprezzato.
© 11 Febbraio 2011