La Voce di Trieste

Inchiesta: Scandalo edilizio ed urbanistico tra Gretta e Roiano

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Tre cittadini tenaci e coraggiosi vincono una battaglia importante per l’ambiente e la legalità. Il Consiglio di Stato contro il malaffare comunale. Obblighi di ripristino ed implicazioni civili e penali, dalle imprese ai funzionari ed al sindaco.

L’intervento edilizio e le norme da rispettare
Il caso riguarda un grosso intervento edilizio speculativo a palazzine per 109 appartamenti con 12.986 metri cubi su 9.316 metri quadrati nella zona del Rio Martesin, fra Gretta e Roiano: una delle nostre aree periurbane tipiche a bosco e campi, gradinate a terrazzamenti (pàstini), con elevati valori ambientali e sottoposte a vincolo paesaggistico.
Dove le leggi regionali hanno perciò condizionato a valutazione d’impatto ambientale (v.i.a.) obbligatoria gli interventi superiori ai 10.000 metri cubi, e le norme tecniche di attuazione (n.t.a.) impongono che l’andamento delle costruzioni conservi quello dei terrazzamenti.
Gli esiti della vicenda in esame si riflettono quindi anche sulla valdità di tutte le domande e concessioni edilizie in situazioni analoghe.

Violazioni clamorose
Qui le imprese proponenti avevano infatti suddiviso furbescamente l’intervento in tre progetti separati per sottrarsi alla v.i.a., e le costruzioni previste non rispettavano ma distruggevano i terrazzamenti.
Oltre che pesantemente invasivo, l’intervento edilizio risultava quindi radicalmente ed illegittimamente distruttivo, sia dal punto di vista ambientale che estetico, della preziosa fascia verde di tramite tra la città ed il Carso, ricca di fauna e vegetazione.
Creando anche un ulteriore precedente pericolosissimo, e non isolato, della peggiore devastazione edilizia dei beni d’ambiente che rendono vivibile invece che degradata la periferia urbana di Trieste.

Complicità ed avalli politico-istituzionali
Le imprese ed i loro progettisti hanno ovviamente il dovere, rispettivamente imprenditoriale e professionale, di conoscere e rispettare le norme edilizie ed urbanistiche, e quindi la piena responsabilità delle iniziative assunte per violarle.
Ma gli organi pubblici che ne devono garantire l’applicazione hanno la responsabilità piena, istituzionale e professionale, di concessioni edilizie rilasciate su progetti che le vìolano in forme che non possono non essere evidenti sia al funzionario tecnico che al pubblico amministratore.
Ed in questo caso è accaduto non solo che gli uffici tecnici del Comune abbiano avallato i progetti senza rilevarne le violazioni di legge, ma che siano stati pure subito inclusi, con procedura palesemente preferenziale e d’intesa con la Segreteria Generale e col Sindaco, Roberto Dipiazza, tra le 127 concessioni edilizie scandalosamente rilasciate in pochi giorni, tra il 1° luglio ed il 5 agosto 2009, previa sospensione irregolare apposita del voto del Consiglio comunale sulla nuova variante di piano regolatore, che poteva impedirne la realizzazione.
Quest’operazione risulta inoltre realizzata con la connivenza attiva o passiva di tutte le forze politiche del Consiglio comunale che infatti non hanno dato ascolto né appoggio adeguati alle proteste pubbliche, ai reclami ed ai ricorsi di tre cittadini tenaci e coraggiosi: Dario Ferluga, Luciana Comin e Giorgio Bragagnolo, riuniti proprio in uno di quei comitati spontanei verso i quali il sindaco Dipiazza ed altri politici arroganti, locali e nazionali, non mancano di esprimere tanto fastidio e disprezzo. Mentre il Consiglio circoscrizionale risulta aver stranamente forzato l’approvazione dell’intervento edilizio.
L’aiuto meritevole col reperirmento dei documenti al Comune e dichiarazioni pubbliche, è giunto soltanto a titolo individuale da due consiglieri, uno d’opposizione, il verde Alfredo Racovelli, ed uno di maggioranza, Lorenzo Giorgi.

Avallo del TAR e sentenza opposta del Consiglio di Stato
Nel *2009* gli stessi tre esponenti principali del Comitato, oltre a presentate esposti penali ed alla Soprintendenza, si sono perciò rivolti a loro spese al Tribunale Amministrativo Regionale (T.A.R.) a Trieste stessa, contro le imprese ed il Comune citato in persona del Sindaco Dipiazza.
Ma il ricorso è stato sorprendentemente respinto già nell’aprile 2010, benché le suddette illegittimità principali delle concessioni edilizie fossero più che evidenti e documentate.
I tre ricorrenti sono stati costretti quindi a rivolgersi immediatamente all’organo giudiziario amministrativo superiore e definitivo, il Consiglio di Stato.
Con fiducia stavolta bene riposta, perché con sentenza depositata il 23 dicembre quest’organo giudiziario centrale ha sconfessato clamorosamente la sentenza abnorme di quello triestino, confermando in maniera inoppugnabile la sussistenza palese di quelle illegittimità denunciate.
Ha annullato perciò le tre concessioni edilizie e condannato in solido il Comune e le imprese costruttrici a pagare ai cittadini ricorrenti 10.000 euro per le spese che hanno affrontato in ambedue i gradi di giudizio.

Responsabilità penali e civili, obblighi di ripristino

Con l’annullamento delle concessioni perché illegittime si aprono necessariamente anche ipotesi penali, di competenza perciò della Procura della Repubblica, a carico dei responsabili privati ed istituzionali degli illeciti.
Ma in pendenza di giudizio del Consiglio di Stato le controparti, avevano tentato con arrogante imprudenza di imporre il fatto compiuto: le imprese avevano infatti avviato egualmente le opere edilizie con sbancamenti, disboscamenti e tracciamento di strade, danneggiando già ambiente, paesaggio e pure la viabilità pubblica, ed il Comune non lo aveva impedito nonostante segnalazioni e proteste.
Ed ora per effetto della sentenza anche queste opere iniziali risultano, come prevedibile, abusive. Il Comune ha perciò l’obbligo di provvedere tempestivamente a regolarizzarle con un provvedimento di sanatoria, in questo caso non possibile, o a disporre il ripristino della situazione preesistente in natura, obbligandovi  i responsabili.
Che sono però due parti diverse in concorso tra loro nel compimento degli atti illegittimi e nella resistenza solidale in giudizio: le imprese che hanno tentato di aggirare le norme edilizie ed urbanistiche, e lo stesso Comune che ha ciononostante rilasciato le concessioni, ovvero i permessi di costtuire, e persino con ulteriori procedure anomale di favore, così abusando e violando le funzioni ed i doveri della pubblica amministrazione.
Sulla responsabilità delle imprese private risulte perciò addirittura prevalente quella Comune, che come ente è ora tenuto a rivalersene a sua volta sul piano civile, per tutte le spese costituenti danno erariale, nei confronti dei responsabili penali: cioè dei funzionari, del Sindaco e degli assessori che hanno assunto le decisioni tecniche e politico-amministrative determinanti.
Rimandendo da valutare doverosamente anche sotto questo profilo, ed in relazione a vicende analoghe, i comportamenti del Segretario generale quale garante interno della legittimità degli atti, e dell’avvocatura comunale quale loro difensore verso l’esterno.
Poiché si tratta di funzionari pubblici e non di dipendenti privati, il loro dovere primario è infatti quello di difendere l’interesse collettivo prevenendo ed impedendo anche i comportamenti illegittimi e dannosi degli amministratori del Comune.
E non di difenderli ad oltranza nell’interesse civile e penale di costoro, come risulta avvenuto di recente anche per lo “scandalo Dipiazza” sul terreno comunale venduto al sindaco, e per le vistose illegittimità di formazione e conduzione della variante ora paralizzata del Piano regolatore.

I procedimenti penali già in corso
Sulla vicenda di Rio Martesin ci risultano aperti sette procedimenti penali. Uno, con indagini affidate ai Carabinieri, riguarda l’operazione edilizia. Ed a questo punto, dopo precedenti archiviazioni, risulta provatamente fondato.
Gli altri sei, dati in indagine alla Polizia di Stato, riguardano invece Dario Ferluga, del valoroso Comitato resistente, e chi scrive, quale direttore responsabile, allora, del “Tuono”. E si fonderebbero su sei querele contestuali, di sapore intimidatorio verso la stampa e palesemente infondate, presentate nel frattempo dalle tre imprese costruttrici.
Dal capo d’imputazione formulato dal Pm risulta che lamentino come offensiva la pubblicazione (su mia dichiarata iniziativa e responsabilità personale) il 22 maggio scorso di una sua lettera interlocutoria, ma soltanto perché vi si definivano “cricca” i corresponsabili dell’operazione edilizia illecita, in esercizio peraltro legittimo ed adeguato della libertà d’opinione.
Non sembra mi abbiano invece querelato perché avevo pubblicato la lettera dichiarando, sette mesi prima della sentenza, “ritengo già evidente e di notorietà pubblica che la speculazione edilizia nella valle di Rio Martesin sia tra le più inutilmente devastanti, e sotto il profilo urbanistico ed amministrativo tra le più vergognose del Comune di Trieste”.

Altri aspetti particolari
La vicenda ha anche altri aspetti particolari. L’intervento edilizio risulta, ad esempio, proposto ed attuato non da imprenditori edili locali o regionali, ma da due società a responsabilità limitata con sede a Roma: La Airone 85 s.r.l. e la GIA – Gestione Italiana Appartamenti s.r.l., al medesimo indirizzo.
E la prima risulta essere una ditta commerciale per la vendita di articoli d’abbigliamento, con dei negozi in varie città e senza attività edilizie ed immobiliari.
Mentre della Gestione Italiana Appartamenti, costituita appena nel novembre 2005, risultano essere comproprietari una società (la Davos 95 s.r.l.) e due imprenditori sempre del settore abbigliamento. Con intreccio di sigle concentrato allo stesso indirizzo delle altre due, appoggiato ad una società di mediazione e consulenza immobiliare nonché amministrazione stabili, la Equipe immobiliare s.a.s., che dichiara sede a Trieste ed ufficio a quell’indirizzo romano.
Si tratterebbe dunque di improvvise attività ed investimenti edilizi a Trieste, da Roma, di soggetti che sinora commerciavano in abbigliamento. Rimanendo da spiegare il come e perché abbiano avuto dal Sindaco e dagli uffici comunali l’anomalo trattamento di favore documentato dagli atti amministrativi ed ora anche giudiziari. E gli spunti investigativi non mancano.

Colpire il malaffare edilizio ed urbanistico
La rilevanza del caso non si limita comunque al già clamoroso salvataggio e necessario ripristino dell’ambiente di Rio Martesin, come altra stampa e politici stanno lasciando credere.
Ha invece rilevanza molto ampia sull’operato del Comune, perché fornisce prova giudiziaria esemplare, inoppugnabile ed autorevolissima che l’amministrazione Comunale di Trieste e suoi responsabili politici (di maggioranza e di opposizione) e tecnici danno luogo, con prassi e pertinacia anomale, anche a vicende rilevanti di malaffare edilizio ed urbanistico che devono venire colpite e sradicate.
Tantopiù che vengono denunciate da anni, ma senza esiti apprezzabili, su una quantità di altre vicende relative a questa e precedenti amministrazioni comunali, con le relative omertà e coperture.
Mentre ora si è dimostrato – con lezione fondamentale di legalità e democrazia – che per infrangerle può bastare e venir premiata anche la volontà decisa di tre semplici cittadini.
Sul tutto sono quindi necessarie ed urgenti, nell’interesse pubblico, attenzioni giornalistiche ed indagini giudiziarie nuove, tenaci ed adeguate. Noi stiamo facendo rigorosamente il nostro dovere: possiamo quindi invitare gli altri a provvedere al loro.
E questo vale anche per le grandi imprese che propongono opere di massimo impatto tentando di eludere analogamente i vincoli di valutazione ambientale: come per i rigassificatori, presentando i progetti degli impianti e del gasdotto separati, o per la TAV ferroviaria Venezia-Trieste frazionando apposta tronconi della stessa linea.

P.G.P

© 12 Gennaio 2011

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