La Voce di Trieste

Caccia in una Zona Sacra

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Cartelli e insegne certificano e ricordano che nella Prima Guerra Mondiale morirono migliaia di soldati. Nella zona in questione, non essendovi alcuna limitazione di sorta, è permessa l’attività venatoria.

Consultando in rete i regolamenti imposti dalla regione Friuli Venezia – Giulia all’attività venatoria, (sono agilmente rinvenibili sul sito www.cacciainfiera.it), essi sembrano impeccabili. Sono indicate con estrema precisione e accuratezza le limitazioni da osservare in merito alla fauna cacciabile di settimana in settimana, alla fascia oraria a cui attenersi, e, tra una vastissima moltitudine di restrizioni specifiche imposte dalla Regione, alle cosiddette ZPS (Zona di Protezione Speciale), tra le quali figurano anche il Carso goriziano e triestino, piccole perle giustamente preservate con cura maggiore.
Tutto bene, quindi? Sembrerebbe di sì. E invece no: a Monfalcone infatti c’è una ristretta zona carsica, distesa attorno alla Rocca tra la stazione ferroviaria e il casello autostradale per Trieste, che presenta la fondamentale peculiarità di essere ufficialmente, oltre che ZPS, una Zona Sacra. Cartelli e insegne, posti a ogni ingresso attraverso cui è possibile accedere alla suddetta zona certificano e ricordano ad avventori occasionali e seriali affezionati che lì, in mezzo agli alberi, tra il cielo e le pietre che coprono i sentieri, nella Prima Guerra Mondiale morirono migliaia di soldati.
Molti di loro erano ragazzi spaventosamente giovani, fiori appena sbocciati e subito ignominiosamente calpestati, divelti. Vittime innocenti della riprovevole, sempiterna bestia umana mai sazia di sangue che, poco più di due decenni dopo il loro sacrificio, avrebbe partorito lo spettacolo più immondo e aberrante della fallace Storia dell’umanità.
Capita di pensare a questo e altro mentre si esplorano le molte vie che si dispiegano bucolicamente tra trincee, bunker e finte rocce poste a coprire le botole in cui i soldati dovevano calarsi per raggiungere le postazioni di volta in volta più favorevoli al prosieguo della battaglia. Chi va a correre o a passeggiare in questi luoghi non chiede che di poter inebriarsi di quiete e aria buona.
Purtroppo, non tutti sanno che nella zona in questione, non essendovi alcuna limitazione di sorta, è permessa la caccia. Potrebbe accadere, quindi, che un corridore inconsapevole della fervente attività venatoria constatabile in loco, magari con entrambe le cuffie dell’Mp3 attaccate alle orecchie, si avvicini a una “zona calda” e finisca nel fuoco incrociato dei cacciatori.
La questione, ovviamente, non riguarda la liceità dell’attività venatoria che, come già detto, è permessa dall’assenza di divieti ad hoc. Ciò non toglie che parrebbe saggio, da parte degli addetti ai lavori, chiedersi se sia giusto continuare ad autorizzare la caccia in questa particolarissima zona. E se il problema pratico, quello dell’incolumità dei fruitori di questa meravigliosa area naturale, parrà facilmente identificabile e la discussione in merito pienamente comprensibile, certamente più difficile da imporre, senza scadere nella retorica, è la questione morale. Qualcosa di sottile e sfuggevole, come i corpi straziati e mutilati di migliaia di giovani, da tempo divenuti polvere nel vento, che meriterebbero finalmente quella dignità che mai fu conferita loro in vita. Se sia accettabile proseguire ad arrecare morte in un luogo del genere, forse bisognerebbe chiederlo proprio alla polvere.

© 12 Gennaio 2011

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