Riflessioni su Trieste e il suo mare
di PGParovel
Quest’anno la regata Barcolana coincide con scelte fatali per il destino della città
Una volta l’anno, ad ottobre, la regata Barcolana riempie le rive ed il mare di Trieste con una quantità straordinaria di vele candide d’ogni misura e provenienza, che fioriscono improvvise sull’azzurro in una festa allegra e preziosa per naviganti e spettatori.
Segnano però anche un forte contrasto: quello col vuoto vistoso di navi, paradossale per un grande porto franco europeo così ricco di banchine, magazzini, alti fondali, ed appunto di zone franche con benefici straordinari, ma altrettanto vuote, nonostante l’Unione Europea abbia ormai riaperto da anni i confini col retroterra generati dalle due guerre mondiali.
Di questo vuoto si accorge immediatamente anche la gente di mare che arriva a Trieste soltanto per la regata, e pone domande alle quali spesso riceve solo risposte vaghe e retoriche.
Mentre é doveroso dare pubblicamente quelle vere, come cortesìa agli ospiti e motivo di riflessione anche per noi.
Trieste è la sola città di mare dell’Adriatico settentrionale che abbia una storia di perenne indipendenza, oltre a Venezia ed in conflitto con essa per mezzo millennio. Durante il quale le ha resistito tenace, ed essa sola, nonostante la sproporzione assoluta di forze tra quella grande, ricchissima potenza marinara del Levante, sorta dall’isola più settentrionale dell’impero bizantino, e la cittadella tergestina che viveva stentata di pesca, saline ed un po’ di agricoltura.
E fu un patto difensivo di dedizione della città a Casa d’Austria, dal 1382 al 1918, che le consentì prima di sopravvivere libera a secoli di guerre ed assedi, e poi, dal Settecento, di svilupparsi come porto franco sino a divenire il primo terminale dei traffici tra la grande Mitteleuropa plurinazionale degli Absburgo, il Mediterraneo ed il mondo.
Un grande ruolo, d’economia e cultura, che finì paralizzato quando l’esito della prima guerra mondiale consegnò e sottomise Trieste agli interessi dei grandi porti concorrenti italiani, e venne ripristinato poco dopo la seconda dalle Nazioni Unite, che nel 1947 fecero di Trieste un porto internazionale libero, come Stato indipendente sotto loro garanzia diretta. Ma questo ruolo è stato poi sistematicamente demolito dal 1954, quando le strategìe della guerra fredda riconsegnarono la città alla concorrenza portuale italiana, sino a causare anche il vigoroso sviluppo sostitutivo, in Slovenia, dell’adiacente porto di Koper-Capodistria.
Il risultato è esattamente quello che ognuno può constatare già passeggiando lungo fronte luminoso dei palazzi sulle rive che facevano di Trieste una Wien am Meer, Vienna sul mare: un grande relitto portuale semivuoto dal Porto Nuovo sino al Porto Vecchio, che ha addirittura 70 ettari di zona franca deserti da decenni nonostante abbia fondali di 15 metri, magazzini imponenti ed un grande scalo ferroviario. Un tesoro incredibile, che qualsiasi altro porto d’Italia e del mondo sfrutterebbe
sino all’ultimo centimetro quadrato, occupando decine di migliaia di persone. Che invece a Trieste vengono lasciate sprofondare silenziosamente, più che altrove, nella disoccupazione e nella miseria.
Si può ben parlare, dunque, di paradosso. Anche perché quest’anno la grande festa di vele della Barcolana spiega la sua bellezza incantevole ma effimera alla vigilia di una scelta fondamentale che può affossare definitivamente Trieste, od avviarne la rinascita.
Una classe politica locale ad di sotto di ogni commento sta rubando illegittimamente il Porto Vecchio alle attività marittime e di zona franca, benché garantite dal diritto internazionale, per consegnarlo entro un paio di mesi alla speculazione edilizia ed immobiliare privata.
Con gli ovvi lucri reciproci tra speculazione e politica, che insistono perciò anche a voler affidare spudoratamente la presidenza dell’Autorità portuale a loro candidati privi di competenze specifiche, invece che a tecnici nazionali od internazionali di livello adeguato.
Mentre la città deve trovare, in tempi ormai brevissimi, la forza di fermare simili camorre parassite una volta per tutte, compattandosi su questo obiettivo primario al di sopra ed al di là delle parti politiche e di qualsiasi altro motivo di divisione.
È una resistenza e difesa che spetta ovviamente ed in prima persona a noi triestini. Ma abbiamo anche bisogno della solidarietà e dell’appoggio dell’opinione pubblica e della stampa italiane, europee ed internazionali.
A cominciare da quanti solcando le nostre onde con le vele tese dal nostro vento nella competizione gioiosa della grande regata riescono anche a vedere direttamente, e comprendere, l’appello silenzioso della rada, dei moli e dei magazzini ancora
così pieni di storia ma così assurdamente vuoti di navi, di merci, di lavoro. Aiutate Trieste.
© 9 Ottobre 2010